È importante innanzitutto dare una definizione chiara di D.P.I., acronimo di Dispositivi di protezione individuale: sono, in buona sostanza, qualsiasi attrezzatura destinata a essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo. Dunque, capi d’abbigliamento e tutti gli accessori in grado di mettere in sicurezza l’operatore sanitario dai rischi che potenzialmente minacciano la sua salute in ambito lavorativo. L’uso e le caratteristiche di tali dispositivi sono chiaramente menzionati nelle linee-guida ISPESL del D.Lgs 81/2008 (Attività di sterilizzazione quale protezione collettiva da agenti biologici per l’operatore nelle strutture sanitarie), nella Direttiva 89/656/CE art. 4 in merito agli obblighi del datore di lavoro, nella Direttiva 89/686/ CE relativamente agli obblighi del fabbricante. In particolare, secondo l’articolo 75 D.Lgs 81/08 i lavoratori devono utilizzare i D.P.I. per fronteggiare il rischio residuo e proteggere le specifiche parti del corpo per le quali sono stati studiati. Il rischio residuo è sostanzialmente il rischio che si prevede rimanga anche dopo che sono state adottate tutte le misure di miglioramento dei livelli di sicurezza, preventive e protettive. In questo senso è prezioso citare anche l’articolo 140 del CCNL studi professionali – Provvedimenti disciplinari che dice che se il lavoratore non utilizza i D.P.I. va incontro necessariamente al licenziamento disciplinare per giusta causa senza preavviso e con altre conseguenze di ragione e di legge: di fatto un licenziamento in tronco, da cui nessun Sindacato può salvare. Entrando nello specifico, rispetto ai doveri del datore di lavoro, questi deve fornire i D.P.I. e dispone che vengano utilizzati, fornisce le informazioni sul loro corretto utilizzo (sono previsti corsi ad hoc). Non solo, il datore di lavoro deve vigilare, cioè ha l’obbligo di richiedere l’osservanza ai singoli lavoratori delle norme vigenti. Capovolgendo lo stesso concetto, l’obbligo per i lavoratori di usare i D.P.I. non esenta comunque il datore di lavoro dalle sue responsabilità. Passiamo a un problema fondamentale: spesso i lavoratori si imbattono in un problema di non poco conto: il datore di lavoro non fornisce i D.P.I. adeguati alle mansioni che si devono svolgere. È una pratica purtroppo abbastanza diffusa e le ragioni sono solitamente tre: 1) non è vista come una priorità aziendale – “Non è importante”, “È una perdita di tempo” 2) spesso i D.P.I. idonei alla mansione che deve essere svolta sono costosi 3) l’adeguamento ai nuovi modelli, alle nuove tecnologie, deve essere costante. Dall’altra parte, va detto, ci sono datori di lavoro corretti che si imbattono in un problema di non poco conto quando il lavoratore si rifiuta di utilizzare i D.P.I. forniti perché: 1) è convinto di lavorare meglio senza e che l’utilizzo non sia necessario; 2) mancanza di un risultato visibile; 3) è un D.P.I. fastidioso che non tiene conto delle esigenze ergonomiche e di salute del lavoratore e inadatto al suo fisico; 4) mancanza di esempi e/o modelli; 5) non si è informato e aggiornato secondo la legge; 6) l’anzianità di servizio, sintetizzabile nella frase tipica “Faccio questo lavoro da una vita e l’ho sempre fatto così…”, cioè sbagliando.
APRIAMO ORA IL CAPITOLO DI COME SI SCELGONO I D.P.I.
I D.P.I. devono possedere una serie di requisiti particolari tali da permettere all’utilizzatore finale, intendendo con questa espressione i datori di lavoro e, di conseguenza, anche gli assistenti, una corretta scelta per soddisfare la normativa vigente e ai fini della loro effettiva efficacia protettiva. Devono avere caratteristiche che li rendano idonei per l’impiego a cui saranno destinati. L’idoneità deve essere determinata attraverso un complesso e attento processo di valutazione dei dispositivi identificati durante la fase della valutazione dei rischi.
A QUESTO PUNTO BISOGNA RISPONDERE ALLA DOMANDA: COS’È E A CHE SERVE IL D.V.R.?
È una relazione obbligatoria che le imprese devono redigere e rendere disponibile alla consultazione da parte degli organi di controllo. Il D.V.R. individua tutti i rischi esistenti sul luogo di lavoro e nello svolgimento delle mansioni che possono cagionare un danno alla salute tramite infortuni o malattie professionali (come l’utilizzo di macchinari o l’impiego di sostante tossiche). L’articolo 76 del D.Lgs. 81/2008 attribuisce al datore di lavoro, ai fini della determinazione della idoneità, il compito di verificare altri aspetti, che sono i requisiti essenziali di salute e sicurezza. In particolare secondo il comma 2 i D.P.I. devono essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare per sé un rischio maggiore; essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; tenere conto delle esigenze ergonomiche e di salute del lavoratore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità; compatibili tra loro in caso di rischi multipli. Schematizzando, tutti i D.P.I. devono essere utilizzati contemporaneamente: protezione del capo, degli occhi, dell’udito, delle vie respiratorie, delle mani, dei piedi a cui va aggiunta l’imbracatura di sicurezza.
QUALI SONO, INVECE, I REQUISITI FUNZIONALI?
Le caratteristiche devono essere tali da neutralizzare il rischio specifico (cioè il D.P.I. deve essere concepito in modo da poter annullare o almeno ridurre il più possibile le probabilità di infortunio per la parte protetta); non limitare le funzioni operative (deve essere progettato in modo che, pur rimanendo inalterate le caratteristiche protettive, vengano limitate il meno possibile le capacità lavorative); essere ben tollerato e accettato dal lavoratore e costruito in modo che in nessun caso possa essere fonte di disagio; essere resistente e duraturo, economico nei limiti del possibile.
QUALI I D.P.I. IDONEI NELLO STUDIO ODONTOIATRICO?
Secondo il D.Lgs. del 1992 sono quelli che appartengono alla terza categoria: i D.P.I. di progettazione complessa destinati a salvaguardare da rischi di morte o di lezioni gravi e di carattere permanente. Un caso per tutti: i guanti medicali monouso, sterili e non sterili: questi D.P.I. sono utilizzati per proteggere il lavoratore da possibili infezioni e contaminazioni da materiale biologico e da agenti chimici e i microorganismi. La norma UNI EN 374/1.2.3 fornisce i requisiti prestazionali dei guanti sottoposti all’azione degli agenti chimici e biologici, da considerare quando si procede alla scelta del guanto più adatto: 1) penetrazione: indica il passaggio di un prodotto chimico attraverso le imperfezioni del materiale o le porosità e i giunti del guanto; 2) permeazione: il tempo impiegato dal prodotto chimico per passare dalla superficie esterna alla superficie interna al guanto; 3) livello di degradazione: l’alterazione delle proprietà del guanto in contatto con un prodotto chimico. Secondo la UNI EN 374/1.2.3 un guanto sottoposto a prove di tenuta dell’aria e dell’acqua non deve presentare perdite e deve essere testato e controllato in conformità con l’AQL (livello di qualità accettabile) del prodotto e descrive il massimo numero di difetti che può essere considerato accettabile durante un’ispezione a campione. Il livello 3 è di 0,65, dunque i D.P.I. di terzo livello, nel caso in esame i guanti, devono avere un AQL di 0,65.
LE PRINCIPALI MATERIE PER LA PRODUZIONE DI GUANTI MEDICALI MONOUSO Lattice: le qualità positive possono essere spesso vanificate dalla possibilità di scatenare allergie dovute alle proteine del lattice (dermatite da contatto) amplificate utilizzando guanti con polvere lubrificante. Va assolutamente evitato il contatto con oli, grassi e idrocarburi (es. benzina). Nitrile: presenta un’ottima resistenza all’abrasione, alla perforazione e ha elevata elasticità. Va assolutamente evitato il contatto con solventi come acetone e acidi ossidanti (es. acido solforico e acido nitrico).
COSA PREVEDE L’OMS
1) lavaggio delle mani con acqua e detergente seguito da lavaggio antisettico delle mani ogniqualvolta si verifichi accidentalmente il contatto con sangue e/o liquidi biologici e dopo la rimozione dei guanti; 2) i guanti devono essere sempre indossati quando vi è o vi può essere contatto con sangue e/o liquidi biologici; 3) uso dei camici e dei grembiuli di protezione: devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono produrre l’emissione di goccioline o schizzi di sangue e/o liquidi biologici; 4) uso di mascherine, occhiali e coprifaccia protettivi: devono essere sempre indossati durante l’esecuzione di procedure che possono provocare l’esposizione delle mucose (orale, nasale e congiuntivale) a goccioline o schiffi di sangue e/o liquidi biologici; 5) eliminazione di aghi, bisturi e taglienti: devono essere maneggiati con estrema cura per prevenire ferite accidentali; 6) i pungenti non devono essere reincappucciati (Titolo X-Bis del D.Legs 81/08), disinseriti, piegati o rotti; devono essere eliminati in contenitori resistenti, rigidi, impermeabili, con chiusura finale ermetica e smaltiti come rifiuti speciali. In definitiva i D.P.I. sono un mezzo di protezione e prevenzione degli operatori sanitari: il loro corretto utilizzo assicura anche la sicurezza dei pazienti, scongiurando potenziali trasmissioni di malattie infettive.
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