Quotidianamente il clinico è chiamato a rispondere, ai quesiti diagnostici, prognostici e terapeutici di ogni singolo paziente. La maggiore difficoltà in questo processo risiede soprattutto nel rispondere a tali domande nel miglior modo possibile e nel minor tempo possibile, ossia fornire al paziente quanto di meglio sia al momento disponibile. Questo significa aggiornamento. È infatti impensabile che quanto acquisito nel corso degli studi sia sufficiente per affrontare in maniera adeguata 30-40 anni di professione. Questo è diventato ancora più evidente negli ultimi decenni, durante i quali la pressione esercitata dai risultati sempre più rapidi della ricerca biomedica, rende obsolete nel giro di pochi anni molte delle conoscenze acquisite nel corso della formazione universitaria. La necessità di aggiornamento in medicina nasce dall’obbligo di offrire al paziente che ha deciso di affidare la sua salute alle nostre cure, i migliori percorsi diagnostici, terapeutici e prognostici disponibili, la cui efficacia e sicurezza siano state adeguatamente documentate dalla ricerca biomedica, clinica e di base. Aggiornamento significa una continua modificazione dei comportamenti clinici alla luce dei risultati della ricerca scientifica ma c’è da chiedersi quali siano le dimensioni della letteratura scientifica. Soltanto le riviste incluse dalla National Library of Medicine (www.nlm.nih.gov) pubblicano ogni anni decine di migliaia di articoli. Se consideriamo che questa è una frazione relativamente piccola delle pubblicazioni biomediche, che non comprende la maggior parte dei periodici in lingua diversa dall’inglese e dal momento che molta della ricerca condotta da aziende private rimane non pubblicata, si comprende quanto grande sia la massa di informazioni che dovrebbe rappresentare la base per l’aggiornamento nella professione medica. E questo vale anche di Federica Demarosi Odontoiatra in Milano Le cinque fasi dell’EBD: 1. domanda 2. acquisizione 3. valutazione 4. applicazione 5. stima per uno specialista quale l’odontoiatra che se volesse conoscere l’intera produzione scientifica di argomento odontoiatrico, dovrebbe leggere decine di articoli al giorno, tutti i giorni dell’anno. Uno scenario non solo assolutamente incompatibile con qualsiasi attività di tipo clinico, ma forse anche inutile, dal momento che non tutto quello che viene pubblicato è di rilevanza per il clinico e che solo una piccola quota di tali articoli è realmente in grado di modificare in senso positivo la pratica quotidiana. È quindi evidente che il problema principale è quello di realizzare una selezione della letteratura, mirata alle esigenze del professionista, che dovrebbe basarsi non solo sulla rilevanza degli argomenti trattati, ma anche (o soprattutto) tenere in considerazione la qualità scientifica di quanto pubblicato. Una possibile soluzione a questo problema è quella suggerita dalla cosiddetta Evidence Based Medicine (EBM). EVIDENCE BASED MEDICINE Con Evidence-Based Medicine (EBM), termine che compare originariamente nel 1992 in un articolo pubblicato sull’organo dell’American Medical Association, si indica, secondo la definizione del suo principale propositore David Sackett, “il consapevole, esplicito, e giudizioso uso delle migliori prove disponibili, nel prendere decisioni riguardanti il trattamento del singolo paziente. La pratica dell’EBM significa integrare l’esperienza clinica del sanitario con le migliori prove disponibili ottenute da una ricerca sistematica”. L’EBM rappresenta un nuovo approccio ai problemi clinici, anche se apparentemente può sembrare scontato che il trattamento del paziente debba dipendere dalle informazioni che la ricerca scientifica mette a disposizione. Secondo l’EBM le decisioni cliniche devono quindi risultare dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili, relativamente all’accuratezza dei test diagnostici, alla potenza dei fattori prognostici, all’efficacia e alla sicurezza dei trattamenti terapeutici e preventivi. L’EBM ha destato negli ultimi anni un crescente interesse che ha coinvolto non solo le figure mediche e paramediche, ma anche quelle deputate alla pianificazione, gestione, e controllo dei sistemi sanitari. In vari Paesi dell’Unione non è inusuale ascoltare analisi basate sul “Evidence-Based Healthcare” e sul “Evidence-Based Decision Making”. Ma in cosa consiste la radicale innovazione proposta dall’EBM? L’EBM propone una rivoluzionaria metodologia nell’utilizzo delle acquisizioni scientifiche riguardanti la soluzione di “uno specifico problema clinico”, modifica la gerarchia delle scelte decisionali e promuove una maggior responsabilizzazione dell’utilizzatore ultimo della ricerca scientifica (Tabella). COME AFFRONTARE UN PROBLEMA CLINICO Quando un odontoiatra o un medico devono approfondire la conoscenza delle alternative terapeutiche disponibili per la soluzione di un determinato problema clinico come si comportano? Frequentemente si rivolgono al cosiddetto “collega esperto” che viene interpellato per un consiglio clinico. Nessun collega, tuttavia, per quanto esperto, può garantire l’obiettività e la completezza delle informazioni fornite. Una seconda via frequentemente utilizzata è quella dei trattati. Ma i trattati, pur mantenendo il loro fondamentale ruolo formativo, non forniscono garanzie di aggiornamento. Le riviste scientifiche rappresentano un ulteriore strumento di aggiornamento, ma spesso i sanitari ricorrono a riviste distribuite gratuitamente che risentono spesso di interessi promozionali. Un’importante caratteristica dell’EBM riguarda la ricerca delle informazioni. Per l’EBM la strada principale, anzi unica, è rappresentata dalle riviste cosiddette peer reviewed, cioè riviste in cui il materiale pubblicato è stato sottoposto al giudizio di riconosciuti esperti del settore. Il clinico, dopo essersi accertato della validità e utilità della ricerca in esame, deve verificare se i risultati di tale ricerca sono applicabili alla realtà in cui opera, se cioè esistono le condizioni ambientali (di “setting”) e soprattutto se un tale intervento risulta accettabile per il paziente che da “variabile” della ricerca diventa elemento centrale della pratica clinica. Va infatti sottolineato come nel metodo clinico della EBM il rispetto verso l’individuo “paziente” non si manifesta solo nel tentativo di utilizzare gli strumenti (diagnostici, prognostici o terapeutici) più scientifici ma anche nel riconoscere una centralità nel prendere decisioni cliniche rispettose “di ciò che i pazienti dicono, dei loro diritti e delle loro preferenze”. L’UTILIZZO CRITICO DELLE FONTI Elemento chiave nell’esercizio di una pratica clinica basata su dati scientifici è quindi il continuo ricorso alla letteratura medico-scientifica o meglio, la capacità di ricavare dai dati scientifici disponibili, le soluzioni ai nostri problemi clinici; siano essi riguardanti l’eziologia, la diagnosi, il trattamento o la prognosi di una qualsiasi condizione morbosa. Per fare questo è necessario che il sanitario affianchi all’esperienza clinica e, nel caso dell’odontoiatra, all’abilità tecnico-manuale, competenze di information retrieval, ossia di ricerca delle migliori informazioni biomediche disponibili e di critical appraisal, ossia di valutazione critica delle informazioni medesime. L’elemento base del sapere biomedico è costituito dalle fonti primarie, ossia da quegli articoli che presentano i risultati di una ricerca originale, che ha cioè generato e messo a disposizione della comunità scientifica dati nuovi. Come già accennato, gli studi primari vengono pubblicati solo dopo un lungo processo di verifica (peer review) effettuato da parte di esperti che dovrebbe garantire la qualità della ricerca. Le fonti secondarie invece, non presentano dati originali, ma selezionano e analizzano, secondo protocolli standardizzati, i risultati degli studi primari in grado di soddisfare rigorosi criteri metodologici; le fonti secondarie comprendono revisioni sistematiche della letteratura (systematic review), meta-analisi (meta-analysis) e linee-guida (guide-line) e sono attualmente considerate tra le più autorevoli/affidabili fonti di informazione biomedica a disposizione del clinico. Con fonti terziarie si intende invece l’insieme di articoli quali editoriali, revisioni della letteratura tradizionali, lettere agli editori, ecc.; contributi cioè basati principalmente sull’opinione dell’autore e che per questo motivo non possono rappresentare una possibile alternativa alla consultazione di fonti dotate di maggiore obbiettività scientifica. INDICAZIONI GENERICHE Un altro strumento ideato per integrare ricerca e attività clinica sono le linee guida. In realtà non c’è molta chiarezza su cosa questo termine debba realmente indicare. Spesso con linee guida si indicano generiche indicazioni riguardanti un particolare aspetto della pratica clinica, redatte da compilatori più o meno esperti, senza che vengano indicati i dati su cui tali istruzioni siano state costruite o addirittura, come recentemente scritto su di una monografia dedicata alla produzione di linee guida, “documenti raffazzonati, senza nessuna precisione metodologica, dominati da motivazioni come quella economica, che nulla hanno a che fare (se non indirettamente) con l’appropriatezza della cura”. Come è facile intuire, per linee guida così redatte possono essere sollevate le medesime obiezioni di scarsa “trasparenza” e scientificità mosse alle revisioni tradizionali e ai corsi. Le vere linee guida dovrebbero invece essere “raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche”. Ancora una volta viene quindi sottolineata l’importanza della sistematicità del processo di produzione della conoscenza. Uno degli aspetti peculiari delle linee guida è quello però che i comportamenti scientificamente vengono valutati da esperti che ne stabiliscono l’applicabilità nel contesto per cui le linee guida sono state prodotte, e spesso anche da rappresentanti di altre componenti del sistema sanità, quali pazienti e amministratori. Il lavoro di redazione delle linee guida è spesso promosso da organismi quali Società Scientifiche o Enti Governativi che inoltre dovrebbe fungere da “garante” della qualità delle linee guida e da promotore e divulgatore delle stesse. Alcuni esempi di linee guida prodotte in maniera rigorosa sono quelle preparate dallo Scottish Intercollegiate Guidelines Network, un ente governativo scozzese con il compito specifico di produrre linee guida, di cui vengono indicate sempre le fonti primarie e il livello di raccomandazione. Tra i diversi argomenti clinici affrontati da queste linee guida scozzesi ne esistono anche alcuni di interesse per l’odontoiatra. Un elenco di linee guida odontoiatriche di varia qualità e prodotte da diverse organizzazione, sono disponibili nel sito della FDI World Dental Federation (http://www.fdiworldental.org/ resources/index.htm).
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